Balcani da Zagabria a Podgorica, il rispetto della forma
Se aprite uno qualunque dei siti governativi balcanici, dall’Albania alla Serbia passando per i contestati territori Kosovari, noterete come i Balcani abbiano appreso in maniera affascinante a rispettare la forma. Siti con indicazione e mail di ministri e ministre; contatti con i vari dipartimenti, formulari per media e cittadinanza.
Documenti strategici e politiche di settore scaricabili appaiono alla vista dell’utenza con una promessa di trasparenza e accessibilità. Ma è soltanto un’apparenza, il rispetto di una forma che permette il mantenimento e la perpetuazione del sistema e della rete di connivenze. Ricerche e analisi dimostrano che ii balcani soffrono di corruzzione cronica e diffusa.
In questo gioco delle forme e del rispettarle spiccano alcuni tormentoni, frasi archetipe che vengono ripetute come mantra dell’impunibilità e che giorno per giorno mostrano in maniera inequivocabile quanto, nei Balcani, la politica ed i politici (un maschile d’obbligo dati la percentuale di potenti uomini!) abbiano imparata l’arte delle democrazie occidentali: parole, parole e ancora parole. Un flusso di promesse continuo e completamente slegato dal fare, una retorica dei diritti collettivi che sommerge ogni persona per farne soccombere le speranze di giustizia reale.
Spostandosi da Zagabria a Podgorica, capitale del Montenegro, quello che subito salta all’occhio è la massiccia pianificazione urbanistica che ha legalizzato e riversato, insieme al cemento, tonnellate di danaro di dubbia provenienza nelle casse montenegrine. Il Montenegro è una Repubblica particolare quando si guarda alle relazioni coi vicini: per ultima ed in maniera pacifica si è separata dalla Serbia segnando la fine definitiva di quanto restava della Jugoslavia, ha chiesto scusa alla Croazia per aver bombardato la città di Dubrovnik ed alla Bosnia Erzegovina per i fatti degli anni ’90; ha immediatamente riconosciuto il Kosovo.
Agli inizi degli anni 2000, il Montenegro era noto per essere lo scalo del traffico di sigarette, traffiking (traffico di esseri umani), una residenza naturale di ricercati e latitanti delle cosche pugliesi, calabresi. Lo slogan beffardo per le vacanze era:”venite in Montenegro, le vostre auto già vi aspettano”. Oggi non è più così, o meglio nulla è più così evidente, tutto ha preso la forma sofisticata di privatizzazioni, appalti e investimenti. Una stessa matrice del malaffare, una simile connnivenza criminale fra edilizia e potere comune all’intera regione balcanica. Ed è questa la linea che lega le capitali di Croazia e Montenegro: una pianificazione urbanistica pilotata che se a Zagabria suscita dissenso e resistenza cittadina, a Podgorica, Bar e Budva, rimane territorio di lotta della società civile e non di tutta ma di quelle organizzazioni più coraggiose pronte alla denuncia, ad a subire le conseguenti intimidazioni.
Così come a Zagabria, il sindaco Milan Bandic, anche in Montenegro sono i funzionari pubblici, in particolare i sindaci di tre città a dettare le regole del gioco. A Podgorica il sindaco Milan Mugoša, a Bar, Pavicevic e a Budva Marovic. Naturalmente mentre ciò accade, regolarmente denunciato da alcuni dei media principali e soprattutto da una organizzazione non governativa MANS, (Rete per l’affermazione del settore nongovernativo) e sono Vanja Ćalović e Dejan Milovac,, rispattivamente direttrice esecutiva e vice direttore dell’associazione le due persone maggiormente esposte a causa delle loro denunce. Cosa che, come dice Vanja Ćalović, a parte il soprannome di nemici numero uno del proprio paese, colpevoli di avere “sposato il Montenegro alla mafia ed al crimine agli occhi del mondo” ha procurato loro l’onore di essere spiati ed investigati dai servizi segreti e variamente maltrattati.
Dalle denunce di MANS appare come, in maniera diversa ma egualmente efficace, ognuno di questi sindaci ha creato un sistema riconosciuto per sanare illegalità e naturalmente incassare in percentuale. Podgorica ha, nella creazione dello status ad hoc di “strategic investors”, la formula magica che rende immune da qualunque vincolo urbanistico e rispetto della legge. I consigli comunali come un’orchestra affiatata seguono e accordano varianti ex-post. A Bar basta usare la ditta edile del sindaco per ottenere licenza e sanatoria a lavori eseguiti mentre a Budva sono le relazioni familiari con funzionari imparentati occupati nei posti chiave del catasto e delle licenze.
Nonostante tutto MANS resiste e negli ultimi 5 anni è cresciuta fino ad avere 29 persone impiegate, un ufficio centrale e tre decentrati; è entrata nel gruppo di lavoro per la strategia anticorruzione e soprattutto generara ha inviato un proprio commento indipendente alle autorità della EU che dovrebbero giudicare sul documento ufficiale inviato dal governo che, secondo la denuncia di MANS, la ministra Djurovic ha dimenticato di consultare i membri del gruppo di lavoro e presentato una propria versione del piano.
La strategia di MANS si fonda sull’uso continuato e sistematico della legge sul diritto all’informazione che permette l’accesso a documenti, decisioni e bilanci. Negli ultimi 4 anni MANS ha presentato 21.000 richieste di cui ¼ sono rimaste non risposte. L’obiettivo è molteplice: responsabilizzare la pubblica amministrazione, informare i media e la società in generale ma anche richiedere agli organi giudiziari competenti l’apertura di indagini. Oltre a questa primaria fonte di informazione, negli anni si è aggiunta la consegna di documenti da parte di pubblici ufficiali che temono per il proprio lavoro o la propria incolumità.
Che quella di MANS sia una strategia destinata a pagare nel lungo periodo, lo dimostra il fatto che, ad oggi, non sono state aperte inchieste contro nessuno di questi sindaci-palazzinari. Dimostrazione indiretta, questa, dell’intreccio di relazioni pubblico privato e dell’inefficenza del sistema giudiziario. Nel frattempo, il sitema al potere sembra tranquillamente sostenere scandali e denunce senza battere ciglio. Mentre l’opinione pubblica sembra in qualche modo cullarsi nell’illusione di partecipare, prima o poi di una fetta delle favolose entrate economiche del turismo di lusso usato come scusa per nascondere l’appropriazione dello spazio urbano pubblico per la creazione di appartamenti e ville private.
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